Si può dare un nome alle emozioni collegate alla morte di una persona cara? A questa domanda è molto difficile rispondere. Si rischia di cadere nella retorica o di appiattire un oceano di sensazioni in una definizione troppo stretta. Eppure credo che bisognerebbe fare uno sforzo per aiutare tutti coloro che soffrono a vivere il periodo del lutto in modo un po’ più sereno.
Spesso infatti chi si trova in questa condizione si chiede se quello che sta provando è “normale”, e questo rende la perdita ancora più dolorosa. La colpa è della nostra cultura, che ha in qualche modo creato la convinzione che esista un modo “giusto” e un modo “sbagliato” di soffrire. Vengono per esempio guardate con sospetto le persone che non piangono, come se le lacrime fossero l’unica prova tangibile del dolore. Allo stesso tempo, chi piange viene esortato a non abbattersi e reagire, in un continuo gioco di controsensi.
Se hai perso da poco qualcuno che amavi, voglio innanzi tutto che tu sappia che il modo in cui stai vivendo la tua tristezza è quello giusto, qualunque esso sia.
Non importa se e quanto stai piangendo, se preferisci la solitudine o ti senti meglio in compagnia, se hai bisogno di gettarti nel lavoro o hai deciso di annullare tutti i tuoi impegni. Questo è il tuo modo di vivere il lutto, ed è certamente quello più giusto per te perché è ciò di cui senti di avere bisogno in questo momento.
Il giorno in cui avrai voglia di guardare negli occhi la tua sofferenza e fare un patto con lei, se succederà, ti sarà d’aiuto avere delle definizioni a portata di mano, una sorta di mappa del tuo viaggio attraverso il lutto. Ed è quello che voglio provare a fare in questo articolo.
Non sono uno psicologo, ma ho studiato molto questo argomento per aiutare i miei clienti a vivere il lutto nel modo più dolce possibile. Ho scoperto che imparare a conoscere la propria sofferenza può aiutare a trascorrere questo periodo in modo più consapevole e un po’ più sereno.
Di certo, dire addio a qualcuno di solito significa sperimentare una serie ingarbugliata di pensieri e sensazioni difficili da definire. La mente gira e le emozioni si attorcigliano su se stesse. Di solito però i sentimenti che accompagnano la morte di un proprio caro non ricevono una diagnosi, come avviene per quelli collegati ad altri eventi avversi della vita. Non si parla per esempio di ansia o di depressione perché vengono considerati naturali.
In qualche modo però, questo approccio ha effetti controproducenti sulla persona che sta soffrendo, perché sente etichettare il suo dolore con un poco empatico: “È normale, passerà…” e sicuramente questo non aiuta.
Negli Stati Uniti, invece, dove hanno una mentalità molto più aperta di quella italiana per quanto riguarda il lutto (e non solo), distinguono tra perdita, dolore e lutto.
La perdita non si lega soltanto alla morte di qualcuno. Questa è solo l’accezione più comune. In realtà si può parlare di perdita anche in caso di divorzio, di un’amicizia che finisce, di un licenziamento dal posto di lavoro. Sono eventi meno dolorosi, forse, ma hanno molti elementi in comune con la perdita di una persona cara, almeno a livello emotivo.
Potremmo definire la perdita come una sensazione di mancanza che, nel caso della morte di un proprio caro assume molte sfumature.
Per esempio si soffre per il fatto che non ci sono più tutte le abitudini quotidiane da condividere con quella persona, per la perdita di un futuro immaginato in cui c’erano sogni, progetti e speranze che appartenevano a entrambi, per la vita sociale e le relazioni con amici e familiari che inevitabilmente cambiano, o anche per la mancanza di un supporto emotivo, pratico e anche economico che quella persona era solita garantire.
Sono sentimenti comuni a ogni perdita, che puoi provare per qualsiasi relazione o abitudine che si interrompe, ma nel caso del lutto sono ancora più difficili da accettare, perché la mente non può rifugiarsi nell’idea che la perdita sia in qualche modo reversibile.
Non tutte le perdite sono uguali, perché ci sono molti fattori da considerare, anche nel caso della scomparsa di un proprio caro.
Ci sono perdite che sono annunciate e attese, come quando c’è una lunga malattia che non si può sconfiggere. Ma possono anche essere improvvise e inaspettate, provocate da incidenti o eventi inaspettati. O ancora traumatiche, quando le circostanze della morte sono violente o scioccanti.
In questi casi, dicono gli psicologi, la perdita si manifesta come una sensazione di incredulità, un vero e proprio stato di shock in cui la mente e il corpo cercano di elaborare quello che è accaduto.
Nel vivere la perdita influisce molto il tipo di relazione che si aveva con il defunto, il modo in cui le persone intorno a noi reagiscono, e anche quello che sta succedendo nella nostra vita.
Non è raro sentirsi sotto pressione perché le persone care, nell’intento di farci stare meglio, non ci danno lo spazio necessario, o perché dobbiamo prenderci cura di qualcuno, tornare al lavoro e continuare la nostra vita anche se abbiamo il cuore spezzato.
Per questo, ci ritroviamo a convivere con il dolore che accompagna la perdita.
Il dolore viene definito come una potente reazione emotiva e fisica, caratterizzata da profondi sentimenti di tristezza.
Potresti per esempio aver sperimentato alcune di queste reazioni:
- forte desiderio di stare ancora con la persona che ti ha lasciato;
- sensazione di vuoto, come se il mondo avesse perso significato;
- una sorta di insensibilità a tutto ciò che ti circonda;
- rabbia verso la persona che se n’è andata e verso te stesso;
- paura di non farcela, di non poter mai più stare bene;
- pensieri ricorrenti su cosa avresti dovuto o voluto fare o dire;
- timore di perdere i ricordi, tristi o felici, di quella persona;
- e molto altro.
Le componenti fisiche del dolore possono essere mal di stomaco, difficoltà nel mangiare o nel dormire, stanchezza, irritabilità, vuoti di memoria, attacchi d’ansia e simili.
Ci sono poi dei comportamenti, che vengono considerati un effetto del dolore.
Alcuni di questi ti allontanano da amici e familiari, come restare a letto, smettere di uscire, rinunciare ai tuoi hobby e alle tue abitudini. Altri invece ti spingono a cercare la compagnia, dicendo a tutti che stai bene, parlando alle persone che erano vicine al tuo caro defunto, e dedicandoti con maggiore intensità al tuo lavoro e alle tue passioni. Altri ancora ti portano a cercare di mantenere un legame il più possibile solido con la persona che non c’è più, guardando continuamente le vecchie foto, tornando nei posti dove siete stati insieme e parlandogli come se fosse accanto a te.
Infine, ci sono i comportamenti disfunzionali, come il rifugiarsi nell’alcool e nelle droghe o compiere azioni incaute e persino autolesioniste. La causa di tutto è sempre il dolore, unito alla fragilità interiore. Spero di cuore che questo non sia il tuo caso.
L’altra particolarità del dolore è di non essere costante. Spesso arriva a ondate, sembra comparire dal nulla. Basta un profumo, un ricordo, una frase, per scatenare sensazioni profonde. Soprattutto quando inizi a sperimentare tutte le “prime volte”, come la prima spesa al supermercato senza la persona cara, il primo compleanno, il primo viaggio e così via.
Di solito le onde all’inizio sono più intense e frequenti, ma col tempo diventano più distanziate e gestibili, ma quanto sia questo “tempo” dipende da ciascuno di noi.
Perciò ricorda che va bene far sapere alle persone che ti vogliono bene come stai. Non devi avere paura di dire che vuoi parlare di quello che provi, o che non vuoi parlarne affatto. E non temere nemmeno di dire loro che non sei sicuro di cosa vuoi. Il dolore può essere altalenante e mutevole e chi ti ama saprà capirlo.
Per quanto riguarda il lutto, si tratta del concetto meno semplice da definire. Potremmo dire che è un percorso attraverso la perdita e il dolore.
Sono state usate molte metafore per definirlo. Per qualcuno è come un processo di guarigione, come una ferita che lentamente si rimargina. Per altri è come un lungo sonno. Per altri ancora è un viaggio.
Si parla spesso delle cinque fasi dell’elaborazione del lutto elaborate dal Kubler – Ross: rifiuto, rabbia, contrattazione, depressione e accettazione.
Quello che molti dimenticano di dire, però, è che questi stadi non sono lineari. Non necessariamente dovrai passare attraverso ognuna delle cinque fasi, ed è anche possibile che il tuo percorso si muova avanti e indietro tra uno stadio e l’altro.
Il compito del lutto è aiutarci ad accettare la realtà della perdita, adattarci a una nuova vita senza quella persona e vivere il dolore con il nostro ritmo. Perciò non preoccuparti se ti sembra di non progredire. A tuo modo lo stai facendo, anche se non vedi ancora la luce.
Ora che abbiamo preso in esame i tre volti della sofferenza legata alla perdita di una persona cara, mi auguro che tu possa compiere un passo in più verso la serenità.
Il mio consiglio, maturato in tanti anni di lavoro accanto alle persone che hanno perso i loro cari, è di ascoltarti molto. In questo percorso, tutto ciò che ti fa stare meglio è utile. Per qualcuno è la meditazione, per qualcun altro una passeggiata nella natura, per altri un buon libro.
A questo proposito, ho creato un piccolo strumento che credo potrebbe esserti d’aiuto. Si tratta del mio libro, che si intitola “Quel che resta è l’amore”. Ho racchiuso nelle sue pagine tutta la mia esperienza e il risultato dei miei studi per aiutare ogni persona che sta attraversando il lutto a vivere la perdita e il dolore in modo più dolce. Se ti va di leggere la presentazione, la trovi qui.