Esistono molti testi che parlano di “tecniche” per elaborare la perdita di una persona cara. Mi hanno sempre incuriosito, ma il più delle volte mi sono sembrate molto lontane dalla vita di chi sta attraversando un lutto.
Da vent’anni per lavoro mi trovo accanto ogni giorno a persone che vivono il momento peggiore della loro vita e so bene che non può esistere un “trucchetto” per allontanare il senso di vuoto, la nostalgia, la rabbia e la paura che spesso ci accompagnano quando diciamo addio a una persona che amiamo.
Inoltre molti di questi metodi sono stati elaborati da studiosi americani, o comunque stranieri, che fanno riferimento a una cultura del lutto diversa dalla nostra.
Qui in Italia c’è un vero e proprio taboo sulla morte. Per molti è difficile parlarne e persino nominarla. Inoltre la nostra cultura vede il dolore come un sentimento negativo, veniamo incoraggiati ad “andare avanti”, “ricominciare a vivere”, a “farci forza”, quasi che piangere e soffrire fossero una colpa.
Ognuno di noi ha un modo diverso di affrontare la perdita, non ci sono metodi giusti e metodi sbagliati, ma se c’è un elemento comune a tutti è la necessità di passare attraverso il lutto.
Nessuno può buttarsi il dolore alle spalle con uno schiocco di dita e sono sempre molto diffidente verso tutti coloro che promettono di guarire dal dolore in poco tempo.
Voglio perciò parlarti di un percorso basato su presupposti diversi.
Se stai vivendo la perdita di una persona cara, penso che troverai interessante, tra tanti, questo metodo, ideato da un italiano. Paolo Baiocchi, psicoterapeuta della gestalt e direttore dell’Istituto Gestalt di Trieste.
Lui ha sviluppato nel 2003 una procedura in sei fasi per l’elaborazione della perdita. Non per dimenticare in fretta, ma per stare un po’ meglio.
Te ne voglio parlare perché si tratta di un approccio secondo me interessante, che può fornirti se non altro degli spunti di riflessione in questo difficile momento.
Le fasi della procedura possono essere eseguite con l’aiuto di uno psicoterapeuta e sono queste:
Rituale di separazione
L’autore invita prima di tutto a compiere delle azioni e dire delle frasi per comunicare con noi stessi e con la persona defunta, allo scopo di esprimere il senso di separazione.
Per esempio si può fare una visita alla tomba, oppure si può scrivere una lettera o semplicemente parlare ad alta voce in un luogo che ci fa pensare al nostro caro che non c’è più.
In questa fase è importante essere sinceri con noi stessi e allontanare le fantasie (che sono del tutto naturali e comprensibili) che ci fanno sognare che, in qualche modo, la perdita possa essere reversibile.
Per esempio si possono esprimere frasi di congedo come “Ti lascio andare” o “Mi separo da te per sempre”, o “Chiudo la nostra relazione” e così via.
Come certamente avrai letto o sentito dire, la prima fase dell’elaborazione del lutto è quella della negazione. Può essere molto difficile e credo che esprimere questo saluto ad alta voce possa aiutare a vivere questo periodo in modo più dolce.
Espressione delle emozioni e chiusura di cose sospese
Il passo successivo è parlare di tutti quei momenti in cui abbiamo fatto soffrire l’altro o lui ci ha fatto soffrire.
Lo scopo è liberarci dei pesi, di tutte le cose non dette, dei sensi di colpa e delle negatività, per poter proseguire nel percorso di elaborazione del lutto senza portarci dietro fardelli emotivi.
Alcuni input utili per questa fase sono frasi che cominciano con: “Mi dispiace molto per…” (aver fatto/non fatto o detto/non detto determinate cose) oppure “Ho sofferto quando tu…” o ancora “Non ti ho mai detto che…”
Ringraziamento all’altro
Dopo aver abbandonato tutti i ricordi negativi, si passa a ringraziare l’altro per i bei momenti passati insieme.
Questo è il momento per celebrare il nostro rapporto, l’affetto reciproco, gli insegnamenti che quella persona ci ha donato, tutto ciò per cui, grazie a lui/lei ci sentiamo arricchiti.
Per esempio si può iniziare il discorso con frasi come: “Sei stato molto importante per me perché…” oppure “Grazie perché…” o “Ricordo il momento in cui…”
Credo che questi due punti siano molto importanti. Per molti di noi infatti, quando una persona cara se ne va, il rimpianto principale è quello di non aver fatto in tempo a dire qualcosa .
Di solito si tratta di frasi d’amore che non siamo riusciti a esprimere per timidezza o perché eravamo presi da mille piccoli altri problemi o non ci sembrava mai il momento giusto. Oppure volevamo scusarci per qualcosa o terminare un discorso in sospeso, e ci siamo accorti all’improvviso di non poterlo più fare perché quella persona ci ha lasciato.
In questo modo possiamo dare voce a questo rimpianto e far uscire tutto quello che abbiamo dentro, per rendere il dolore un pochino più leggero.
Scoperta del proprio tesoro interiore
La quarta fase è quella principale e più difficile. Secondo Baiocchi, quando amiamo vediamo il mondo in un modo diverso, più vivo, luminoso e colorato, una caratteristica che lui chiama “magia percettiva”. Inoltre abbiamo una forza interiore maggiore e siamo più propensi a correre rischi.
Il passaggio cruciale è renderci conto che questa energia non è andata via. Spesso quando si affronta la perdita di una persona cara ci si sente svuotati e soli. Più fragili, come se la nostra forza dipendesse dalla vicinanza con il defunto.
Si tratta di un’illusione, dice Baiocchi, perché in realtà abbiamo semplicemente proiettato all’esterno (sulla nostra relazione e sulla persona amata) qualità che sono nostre.
Lo scopo di questa fase è quindi capire che il nostro caro ha soltanto facilitato questa speciale connessione con la nostra forza vitale, che appartiene a noi ed è ancora presente.
Sarà utile, per valorizzare le nostre qualità e risorse interiori, ripensare a quei momenti in cui abbiamo sperimentato questa magia percettiva e chiederci:
“Come vedevo me stesso/a? Come vedevo il mondo? Come vedevo la persona amata? Come vedevo gli altri? Cosa ero in grado di fare? Cosa sentivo possibile, quale progetto o sogno? Cosa in me, quale qualità o risorsa, rendeva possibile realizzare tale progetto o sogno?”
Uso individuale del proprio tesoro interiore
Il passaggio successivo è utilizzare le qualità che abbiamo scoperto di avere dentro di noi grazie al nostro caro, per evolvere e affrontare nuove sfide.
Dobbiamo riflettere su quei comportamenti e attitudini per capire come portarli nella nostra vita attuale. Saranno una nuova bussola per orientarci, e aiutarci a prendere decisioni in autonomia.
Le domande tipiche di questa fase sono per esempio:
“Come posso far vivere la qualità … nel mio quotidiano?” oppure “Quali scelte farei se usassi la qualità … oggi?” e così via.
Uso relazionale del tesoro interiore
Nell’ultima fase, dopo aver compreso come utilizzare i nostri doni per orientare la nostra vita, dobbiamo riflettere su come usarle per arricchire la nostra relazione con gli altri.
Possiamo far dono di quelle stesse qualità alle persone a cui vogliamo bene, migliorando il nostro rapporto con loro. Chiedendoci per esempio:
“Come posso far vivere la qualità … nella relazione con …?” (un figlio, un partner, un amico ecc…) oppure “Che comportamento sceglierei con …. se usassi la qualità …?”
Questo passaggio conclusivo secondo me è molto interessante, perché rappresenta un modo per riavvicinarsi alle persone care, che magari abbiamo allontanato perché il dolore ci sembrava troppo forte.
Spesso infatti quando viviamo un lutto ci sentiamo molto soli.
A volte non riusciamo a comunicare, abbiamo paura di non essere capiti oppure di non riuscire a capire gli altri, che magari stanno soffrendo in un modo diverso dal nosto.
Sapere quindi di avere delle qualità personali, che proprio la persona che ci ha lasciato ci ha aiutato a scoprire e che possono esserci utili oggi per affrontare la perdita in modo un po’ meno doloroso, può essere di conforto.
Dopo aver descritto il suo metodo, Baiocchi racconta la sua esperienza personale, che ti riporto:
Ti auguro di poter provare lo stesso, se hai uno psicoterapeuta con cui affrontare un percorso simile a quello suggerito da Baiocchi o diverso, in base alle tue necessità e ai tuoi desideri.
Io non sono uno psicologo quindi dal canto mio non posso suggerirti cosa fare, posso solo mettere al tuo servizio la mia esperienza e gli studi che ho fatto, in modo semplice e amichevole.
Non sono un accademico che può insegnarti qualcosa, ma una persona che lavora quotidianamente, con uomini e donne che stanno vivendo il lutto, o che si stanno preparando a perdere una persona che ha una malattia terminale.
Dalla mia esperienza e dai miei studi, è nato il mio libro, Quel che resta è l’amore. Non è un libro di psicologia e non contiene nessun “metodo” per vivere la perdita, ma è il mio contributo sincero per aiutarti a trovare una strada più dolce per affrontare il dolore.
Se ti va di saperne di più qui trovi la presentazione.