“Mia madre è morta il 17 giugno del 2003, esattamente un giorno prima che iniziassero gli esami di Stato. Mi ricordo ancora tutto di quella giornata. L’aria estiva spirava sul balcone della terrazza sul mare ed io stavo ripassando per il tema di italiano. Mio padre quella notte era uscito ed io avevo pensato che fosse la solita emergenza dell’ospedale in cui lavorava.
Non sapevo che di lì a poco quello si sarebbe trasformato nel giorno peggiore della mia vita.
Come spiegare a chi come me ha vissuto o sta vivendo un dolore tale che un giorno ti svegli e l’hai superato?
Mia madre è morta dopo 4 anni di malattia orribile, durante i quali l’ho vista spegnersi piano piano per colpa del cancro, in un’agonia che aveva portato via la sua bellezza un giorno dopo l’altro sino a farla urlare di dolore e di pena nei giorni della chemioterapia. Ed io ne scrivo per la prima volta apertamente dopo 10 anni.
In fondo la terapia era una chiacchierata con una vecchia amica di cui però imparavo a seguire i consigli. Era l’unica persona con cui riuscivo a parlare di tutti i ricordi dolorosi di quegli ultimi 4 anni, e oggi so che quelle chiacchierate potrebbero aiutare molte altre persone che si sono trovate nella mia stessa situazione.
Spesso quando c’è un lutto parlare con la propria famiglia è difficile, sono tutti troppo presi dal proprio dolore, ed un supporto esterno può essere la salvezza della situazione.
Io ad esempio non riuscivo a parlarne con la mia famiglia, che peraltro all’epoca non voleva nemmeno ascoltare. I miei nonni avevano perso la figlia, le mie sorelle una mamma affettuosa e mio padre la moglie con cui era stato per vent’anni. Io ero l’unica che fosse decisamente incavolata oltre che addolorata.
Ero arrabbiata perché avevo avuto occasione di stare un po’ con mia madre solo quando era malata. Di lei non sapevo quasi niente e lei non avrebbe mai saputo nulla di me.
Mamma ti odio era l’unica cosa che mi saltava in mente. E come fare a dirlo? Alla mia famiglia poi? Ai nonni che mi avevano cresciuto perché lei mi aveva lasciato con loro quando avevo solo sei mesi e che la adoravano?
Io invece la odiavo per avermi abbandonata, per non avermi vista crescere se non a distanza, per aver lasciato che vivessi con lei l’incubo del cancro e per avermi poi abbandonata di nuovo.
Tutto quello che sapevo era che di questa cosa ne dovevo parlare con qualcuno.
La terapia che condussi con la mia psicologa fu basata sull’accettazione.
Fu lunga e non facile ed ogni tanto ripeto ancora a me stessa i suoi consigli. Imparai molte cose durante quelle sedute, ad esempio ad accettare che mia madre non era perfetta, anzi scoprii piano piano che da giovane era stata depressa, che si era sentita spesso inadeguata, che aveva lasciato gli studi e che all’atto di diventare mamma si era trovata ancora più spaesata.
Accettai piano piano che questo dolore sarebbe ricomparso ogni tanto, che avrei potuto commuovermi durante un film della Disney, che avrei pensato a lei il giorno della laurea, quando avrei pubblicato il primo articolo, o se mi fossi mai sposata.
Accettai che l’avrei rivista ogni giorno nell’espressione di una delle mie sorelle o sul mio volto, poiché ironia della sorte, sono la figlia che le assomiglia di più.
Accettai pian piano che non dovevo sentirmi in colpa perché ero arrabbiata, poiché la mia perdita era stata doppia ed avevo tutto il diritto di pensare che se fosse stata più forte e mi avesse voluto più bene mi avrebbe tenuta con sé.
Accettai piano piano che la mia famiglia questo dolore non lo capiva perché stava passando dolori diversi ed alla fine accettai anche che sebbene mia madre non fosse perfetta, anzi fosse una persona debole ed arrendevole, tutto il contrario di come l’avrei voluta io, le volevo bene perché nonostante tutto era mia madre ed a modo suo aveva sempre voluto il meglio per me.
Se lei non mi avesse lasciato con i miei nonni non avrei avuto un’infanzia piena di affetto, se lei non avesse insistito non sarei andata nelle scuole migliori, se lei non mi avesse regalato i primi libri forse non avrei mai scritto una riga.”
Queste sono le parole di Manuela nella sua testimonianza pubblicata su Guida Psicologi, una ragazza che a 10 anni dal lutto subìto è riuscita a mettere per iscritto la complessità delle emozioni che ha provato in quel difficile momento.
Quando ha perso sua mamma, infatti, era molto giovane e in un momento della vita estremamente complesso, la fase finale dell’adolescenza, quella in cui viviamo le emozioni e le esperienze in un modo unico.
Dopo aver letto questa toccante testimonianza, ho deciso di scrivere un articolo su un tema estremamente complesso come può esserlo il lutto adolescenziale.
Se in questo preciso momento nella tua famiglia state per affrontare un lutto e non sai come aiutare tuo figlio, tuo nipote o un qualsiasi adolescente a te caro, spero tu possa trovare sostegno e spunti utili nelle mie parole.
Quando devi crescere velocemente
Ci sono persone che passano attraverso la vita senza vivere un lutto
traumatico, almeno finché non sono adulti. Ci sono altri purtroppo, più
sfortunati, che si trovano a dover vivere questa esperienza dolorosa già da
ragazzi, se non addirittura da bambini.
“Sono dovuto crescere in fretta” è una delle frasi che più spesso sentiamo pronunciare da ragazzi che hanno all’improvviso preso le vesti dei propri genitori e iniziato una vita completamente diversa da quella del giorno prima.
Sembrano gesti semplici, ai quali un genitore non sempre dà il peso che meritano, ma anche solo accompagnare la sorella più piccola a scuola, rinunciare a stare al parchetto con gli amici, dover andare a fare la spesa, controllare che abbia fatto i compiti significa comunque averne la responsabilità addosso e sentirsi obbligati a vestire panni non loro.
So che molto spesso è un passaggio obbligato, dovuto a necessità organizzative, ma la cosa importante è non trascurarne l’importanza e cercare, per quanto è possibile, di ritagliare spazi di spensieratezza per i ragazzi, senza dimenticare, appunto, che sono adolescenti e non piccoli adulti.
Lo shock
La morte di un genitore, di un nonno o di qualsiasi figura affettiva della sua vita interrompe la vita normale dell’adolescente. Indipendentemente dal fatto che la morte sia improvvisa o anticipata, la risposta iniziale dell’adolescente è solitamente lo shock.
Per quanto possano essere preparati, per quanto possano aver fatto lunghe visite al caro in ospedale, per quanto possano sapere quello che sta succedendo, la morte arriva comunque con una violenza straordinaria.
In un momento della vita in cui non vi sono certezze, in cui i cambiamenti sono all’ordine del giorno, perdere un punto fisso è, in ogni caso, uno shock.
La comunicazione
Ci sono casi in cui il lutto arriva all’improvviso e travolge tutti coloro che lo subiscono, ma anche quando si preannuncia attraverso una lunga degenza rischia di essere una sorpresa per i più giovani.
Questo perché spesso, in un complesso periodo in cui i ragazzi sembrano a volte bambini, a volte adulti, non sempre vengono considerati pronti alla sofferenza.
Molto spesso, infatti, non si condivide con loro quello che sta succedendo, non li si rende partecipi del reale stato delle cose e il lutto diventa così un dolore ancora più forte, aumentato dalla sorpresa al quale è accompagnato.
L’ingiustizia
Non solo, la mancanza di comunicazione porta con sé inevitabilmente un forte senso di ingiustizia, una rabbia molto forte per tutti i discorsi che sono stati rubati.
Per tutte quelle cose che avrebbero detto o fatto se avessero saputo che il tempo stava finendo.
Questo accade anche quando non vengono chiaramente spiegate le situazioni in cui qualcuno è venuto a mancare.
La mancanza di informazioni porta a una ricerca continua che inevitabilmente a un certo punto approderà alla verità. Può essere brutta, può essere stata violenta, ma, anche senza scendere nei dettagli è necessario condividere la realtà delle cose.
Riconosce loro un ruolo di adulti e evita di farli sentire “traditi” o “poco considerati”.
Il lutto è anche loro
Se un giovane a te caro sta vivendo un lutto è molto probabile che tu stesso ne sia vittima. Potresti aver perso il tuo partner, un genitore o qualsiasi altra persone a te cara.
So che è difficile, so che probabilmente sei travolto dal dolore, so quante poche energie si possano avere in momenti del genere, ma non dimenticare che i ragazzi intorno a te soffrono e hanno bisogno che questo sia considerato.
Il lutto è anche tuo
Al contrario però può succedere di dedicarsi completamente, dimenticandosi di vivere il proprio dolore e nemmeno questa è una scelta sensata, rischi infatti di essere sopraffatto e di avere grosse problematiche nell’elaborazione nel lungo termine.
Lascia che seguano il loro percorso
Quando sono fragili e soffrono è normale vederli sempre più come bambini che non come adulti ed è dunque altrettanto normale volerli guidare.
Come ripeto spesso nei miei articoli però, ognuno ha il suo particolare modo di vivere il lutto e cercare di dare ai tuoi ragazzi un percorso da seguire non è un buon modo di stargli accanto.
Quello che dovremmo cercare di fare è far sì che sia la loro particolare e unica sensibilità a prevalere e guidarli nel percorso.
Occhio alle parole
L’ho scritto in diversi articoli e vale ancora di più in questo in cui parliamo di ragazzi ancora in fase transitoria che stanno costruendo la loro personalità giorno dopo giorno, le frasi di circostanza possono essere davvero molto pericolose.
Ci possono sembrare la cosa giusta da dire magari, ma la realtà è che si imprimono con molta più forza di quella che possiamo immaginare.
Parole come “andrà meglio, vedrai”, non sono consolatorie, ma, al contrario, sminuenti nei confronti di quello che la persona davanti a noi sente, in particolar modo se è in una fase delicata della sua crescita.
Non devi farlo da solo
Siamo nel 2020, ma pare che ancora la questione non sia sdoganata: si può chiedere aiuto a un professionista.
Non esiste un dolore più o meno grave dell’altro, non ci sono motivi per cui si ha diritto di andare a parlare con una professionista e altri per cui stiamo esagerando.
Ognuno di noi conosce il proprio dolore ed è in base a quello che soffriamo, che sia per te o per il ragazzo al quale sei accanto, non esitare a chiedere aiuto se pensi di averne bisogno.
Sono tutti spunti che spero ti possano essere utili, ovviamente non si tratta di un piano preciso su come superare i lutti, quello non esiste e sarebbe stupido provare ad elaborarne uno, sono però consigli da non dimenticare quando vivi un momento del genere.
L’importanza del funerale
Può essere che non tutti se la sentano di affrontare un funerale, ovviamente nessuno va costretto, ma sedersi e parlare liberamente del perché si voglia o meno partecipare all’evento può essere utile per comprendere il punto di vista del ragazzo.
Molto spesso il rimpianto di non aver salutato un’ultima volta il caro scomparso tormenta chi rimane negli anni a seguire, quindi parlarne può essere di vitale importanza per evitare rimpianti futuri.
Da due anni cerco ormai di condividere contenuti sul lutto che possano aiutare le persone a vivere il dolore nel modo più dolce possibile.
Al culmine del mio lavoro di ricerca ho deciso, infatti, di scrivere un libro Quel che resta è l’amore, che puoi trovare su www.restalamore.com.
Al suo interno ho messo insieme la mia esperienza in questi 20 anni e il confronto avuto con professionisti del settore per aiutare chi vive un lutto a esprimersi al meglio e abbattere un giorno alla volta il doloroso tabù che circonda questa particolare esperienza.
A presto
Andrea