È un omone di 109 chili.
Un tatuaggio tribale circonda il suo occhio sinistro; le sue mani grandi le ho viste centinaia di volte in televisione colpire l’avversario fino a metterlo al tappeto.
Mike Tyson è un campione celebre in tutto il mondo per le sue straordinarie vittorie sul ring e per i suoi eccessi fuori dal ring.
Stiamo parlando di un uomo che è stato soprannominato “Iron Mike”, “The Baddest Man on the Planet”,”Kid Dynamite” e “King Kong”. Tutti soprannomi temibili per l’atleta considerato “il più feroce lottatore ad aver mai messo piede su un ring”.
Eppure quello che sto guardando non è un video delle sue eroiche imprese sportive. Nello schermo, infatti, Mike Tyson sta trattenendo le lacrime con estrema fatica durante un’intervista.
Sembra una montagna pronta a sgretolarsi.
Sono 20 anni che accompagno le persone nel loro ultimo viaggio e vedo i loro familiari lasciarsi andare in pianti che contengono tutta la tristezza di una mancanza che non verrà colmata a breve.
Ho avuto davanti i più disparati esseri umani, giovani, anziani e bambini e ho visto in loro le più disparate reazioni, ma devo ammettere che vedere un colosso come Mike Tyson sciogliersi davanti a un intervistatore mi ha toccato come rare volte prima.
Mike ha trattenuto le lacrime, raccontando della morte della sua bambina di 4 anni, all’improvviso ricordando l’episodio si è alzato, ha chiesto di staccare il microfono e si è allontanato dalla telecamera.
Le immagini però continuano mentre in un angolo viene sopraffatto dal dolore che cerca di non mostrare a chi gli è intorno.
Stavo guardando questo video pochi giorni fa e non ho potuto fare a meno di pensare a tutti coloro che ho visto mettere a tacere un dolore immenso.
Se sei in un momento di difficoltà, hai perso o stai perdendo una persona a te cara, sai di cosa sto parlando. Magari hai già letto qualche articolo in questo blog in cui parlo di quei meccanismi che spingono le persone a reprimere e di come sia pericoloso per chi sta vivendo un lutto nascondere il dolore.
Se non l’hai ancora fatto ti invito a leggere gli altri articoli, penso ti possano essere utili in un momento tanto complesso e difficile.
La repressione dei sentimenti non è l’unico elemento che mi ha colpito nel video di cui ti sto parlando, non mi soffermerò molto su questo aspetto perché l’ho già trattato in precedenza e soprattutto perché c’è un altro spunto importante che voglio condividere con te.
La figlia di Mike Tyson è venuta a mancare nel 2009.
Il video di cui ti ho parlato è del 2017.
La reazione del pugile però è quella di qualcuno che ha appena subito un lutto.
È possibile che un lutto duri così tanto? È sbagliato? C’è qualcosa che non va?
Prima di tutto è fondamentale che ti ripeta un concetto per me importantissimo, non esiste giusto o sbagliato quando parliamo del dolore che si prova davanti alla perdita definitiva di qualcuno che amiamo.
Ognuno ha il diritto di esprimere la sua sofferenza come e quanto vuole, l’unico elemento fondamentale è proprio la libertà di farlo e la possibilità di elaborarlo nella maniera più salutare possibile.
La risposta comunque, tornando a noi, è sì, è possibile che un lutto duri 8 anni.
È un caso di lutto inibito, una delle quattro tipologie di lutto patologico.
Come capire se stai vivendo una situazione di lutto patologico
Come ogni altro aspetto della nostra vita, anche il lutto è un’esperienza individuale e, quindi, soggettiva.
Così come l’amore, l’odio, l’abbandono e ogni aspetto emozionale della nostra esistenza, anche il lutto è vissuto da ogni singola persona nel suo specifico modo.
Non esiste quindi una definizione univoca né della modalità con cui viene affrontato né delle tempistiche.
Ci sono però delle indicazioni non definitive, gli studi portati avanti infatti individuano fra i 6 e i 12 mesi il periodo entro il quale, in media, si impara a confrontarsi con la perdita “a viso aperto”, ad accettarla.
È un processo estremamente difficile, costellato da cadute e risalite, momenti in cui pensi di esserne fuori e altri in cui non riesci a capacitarti di ciò che è accaduto.
C’è poi un 5% delle persone nelle quali il processo si blocca, in questi casi si parla, allora, di lutto complicato o patologico del quale Alicia Skinner Cook e Daniel Dworkin, due noti studiosi in materia, identificano 4 tipi.
I 4 tipi di lutto patologico
Il primo è il lutto evitato.
Se hai appena subito un lutto e stai cercando di essere freddo e impassibile o, al contrario, provi un senso molto forte di rabbia e risentimento, è possibile tu stia vivendo questa esperienza, che consiste nel rifiuto della perdita e nel tentativo di eliminarla.
Ho visto molti entrare a un funerale con lo sguardo freddo e vuoto e uscirne come se nulla fosse e mi sono accorto nel tempo che dietro quell’aria distaccata c’era un vuoto difficile da colmare.
Ho visto madri rimanere impassibile davanti alla bara del loro ragazzo e preoccuparsi solo di far star meglio i figli o i fratelli di chi era venuto a mancare, senza concedersi un secondo per vivere quel dolore.
Non si tratta solo di essere forti, ma anche e soprattutto di non voler affrontare ciò che sta succedendo.
Il secondo caso è il lutto ritardato.
Alcuni, di fronte al lutto, appaiono stranamente quieti, pratici, efficienti. Potresti pensare che sia una reazione invidiabile e da auspicarsi, la verità purtroppo è che è così solo in apparenza.
Può essere, infatti, che le emozioni messe in disparte si facciano vive, con ancora maggiore forza a distanza di tempo. Magari a seguito di un altro lutto, di una separazione, di una ricorrenza particolare.
È come se tu fossi una bomba ad orologeria pronta ad esplodere.
Immagina di avere un enorme peso da 2 quintali, attaccarci un gancio all’estremità e poi una fune che ti metti in spalla.
Immagina poi di continuare a camminare con quella fune e quel peso attaccati addosso.
Ecco, può succedere che tu ti trovi davanti a un ostacolo da superare e in quel momento il peso che ti porti dietro da anni e anni si faccia sentire impedendoti di andare avanti.
In quel momento crolli a terra spaesato, senza nemmeno renderti conto del motivo che ti impedisce di fare un passo in più. E se quell’ostacolo è un altro grosso peso, può succedere che lo attacchi alla tua fune e si sommi al precedente.
Potresti procedere così per sempre, trascinando pesi che ti impediscono di correre alla tua naturale velocità e potresti farlo senza nemmeno accorgertene fino a rimanere immobile, paralizzato dai chili che ti stai portando addosso.
Il terzo è il caso di Mike Tyson: il lutto inibito.
Prima di allontanarsi in lacrime, infatti, il pugile ammette di aver fatto abuso di sostanze stupefacenti nei giorni che sono seguiti alla tragedia.
La frase che utilizza mi ha davvero toccato “I had to get high”, che significa “dovevo essere drogato”, era necessario per Mike inibire il dolore in qualche modo e ha deciso di farlo attraverso l’uso di droghe.
È un caso estremo, quello di chi assume droghe, ma ce ne sono di più comuni che caratterizzano il tentativo di mettere a tacere un dolore insostenibile.
Ad esempio potresti aver smesso di sottoporti ai controlli medici di routine, alimentarti in maniera scorretta, consumare alcol o tabacco in modo eccessivo.
Un comportamento del genere è comprensibile, non voglio assolutamente giudicare, capisco la volontà di alleviare una sofferenza così forte. Il problema viene dopo, quando il tuo stato di salute peggiora o quando viene a galla ciò che hai provato a nascondere.
Il lutto cronico è l’ultima casistica che caratterizza chi anche dopo anni non riesce a parlare del defunto senza provare un dolore intenso, insopportabile, quasi come se il tempo fosse fermo a quei giorni.
Non sentirti in colpa se stai vivendo una di queste esperienze
Non voglio giustificare nessuno, ma vorrei davvero tu comprenda che non è colpa tua se ti trovi in una di queste situazioni.
Non devi sentirti debole o stupido. Uno dei più grossi problemi per chi sta vivendo un lutto è quello di essere circondato da persone che lo spingono ad andare avanti a qualunque costo.
Il nostro paese, purtroppo, come molti altri, si basa su una cultura che mette a tacere la sofferenza e che ci vuole tutti pimpanti e in piena forma.
Mal sopportiamo la visione del dolore e cerchiamo, tutti dal primo all’ultimo, di coprire le ferite che vediamo piuttosto che cercare di curarle.
Non abbiamo gli strumenti per farlo, ci insegnano ad andare avanti sempre e comunque fin da quando siam piccoli, i film ci dicono che bisogna essere forti e tutti intorno a noi sembrano sempre ostentare un grande senso di benessere.
Il malessere al contrario è nascosto e non socialmente accettabile.
Come uscire da un lutto complicato
Prima di tutto voglio specificare che non sono un terapista, uno psicologo o un professionista in questo senso.
Ho però compreso, dopo 20 anni a contatto con il dolore di chi rimane, l’importanza di creare uno spazio dove chi rimane possa sentirsi libero di esprimersi e in questo modo affrontare nella maniera migliore possibile il suo lutto.
Il primissimo tassello di questo complesso quadro parte con il saluto di chi se ne sta andando.
Troppo spesso il funerale viene visto come una formalità e ho addirittura sentito frasi come “è morto, cosa serve fare un funerale se tanto non lo vedrà”.
La realtà è che il funerale, oltre a essere un modo per salutare il defunto, è un rito per chi rimane, un modo per permettergli di fermare le sue giornate che corrono veloci e prendersi il tempo di dire addio.
Per questo è molto importante che sia vissuto a pieno, dal punto di vista emotivo, e che i cari si possano concedere un momento tutto loro per piangere chi non c’è più.
Chi sbriga le questioni nel modo più veloce possibile e vive il funerale come una seccatura necessaria rischia davvero di incorrere in uno di questi quattro difficili lutti.
L’ho visto accadere molte volte e sono stati proprio i troppi tabù del nostro paese in materia di lutto che mi hanno spinto a scrivere un libro su come superare il difficile momento.
Non pretendo di darti una soluzione definitiva, andrebbe contro tutto ciò che scrivo nel blog che stai leggendo, quello che vorrei è essere di conforto a chi sta vivendo un lutto e aiutarlo a superare il peso di una società che ci vuole felice e sorridenti.
In questa pagina trovi la presentazione del libro: https://restalamore.com/, ti consiglio di leggere se tu o un tuo caro state vivendo un lutto.
Penso sinceramente possa esservi d’aiuto.
A presto,
Andrea Cavallaro
Ho letto l’articolo , scritto benissimo e molto chiaro, con gli occhi colmi di lacrime ! Io 12 anni fa ho perso l’amore della mia vita, sposato a 16 anni, cresciuti insieme per 34 …e poi lui mi è stato rubato da un male terribile …! L mia vita si è interrotta per 3 o 4 anni..o forse più…..il tempo e il modo per elaborare il lutto l’ho avuto , la comprensione dei famigliari e amici l’ho avuta ma …io non posso parlare o pensare a lui senza piangere !!! Come è possibile ???
Buongiorno Giovanna, non sono in grado di dirle come è possibile, per capire come, dove e perché il suo lutto non sia stato elaborato dovrebbe rivolgersi ad un terapista.
Purtroppo è piuttosto frequente che a distanza di molti anni alcune persone soffrano ancora molto, alcuni hanno letto il mio libro proprio per questo motivo e hanno trovato conforto e qualche risposta, ma soprattutto hanno trovato il coraggio di affrontare alcuni passi che prima evitavano di affrontare.
Quindi ciò che mi sento di consigliarle è di leggere il mio libro (non deve necessariamente acquistarlo, l’ho donato a diverse biblioteche e può averlo in prestito facendoselo mandare nella biblioteca pubblica a lei più comoda), se non dovesse essere sufficiente contatti uno psicoterapeuta o un counsellor
un caro saluto
Andrea Cavallaro
Caro Andrea,
è difficile pensare che dopo 12 anni dalla morte di mia madre stia ancora cercando conforto nei vari articoli su internet.
Forse per troppi anni ho messo a tacere la sofferenza che ne derivava. Poi, con la perdita nella mia vita 3 anni fa del mio compagno, è tutto riaffiorato come il primo giorno. Da quel momento vivo in un perenne stato di ansia, tento di occupare costantemente la mia vita e non rimanere mai sola, non mi sento compresa da nessuno.
Sento che la morte di mia madre mi ha segnata per sempre e questo processo è ormai irreversibile: nessuna terapia è stata in grado di aiutarmi. Vivo con una sorta quasi di “ossessione” dell’abbandono. Ho paura di restare sola, di non essere amata… e razionalmente so che così non è. Eppure continuo a soffrire. E sapere di non essere la sola a vivere certe situazioni… mi rincuora.
Grazie per l’articolo e per averlo condiviso con noi.