Diversi anni fa Elisabeth Kübler Ross ha individuato le 5 fasi del lutto, alle quali hanno recentemente aggiunto una sesta, e il processo per attraversarle parte con la negazione.
Durante questo primo step è possibile che tu non versi una lacrima e affronti le tue giornate con determinazione, questo è perfettamente normale, non sei un mostro se così fosse.
Le cinque fasi sono note ormai alla maggior parte delle persone:
- Negazione;
- Rabbia;
- Contrattazione;
- Depressione;
- Accettazione.
Come funzionano e perché sono così vitali per chiunque si appresti a vivere o stia vivendo un lutto, invece, è molto più complesso.
La frase più comune che un malato pronuncia quando gli viene diagnosticata la patologia terminale è: “è sicuro?”, seguito da “si sbaglia”, “è impossibile”, “sto benissimo”.
Perché tutti in prima battuta sono portati ad allontanare il pensiero di ciò che sta realmente succedendo e vogliono credere che le cose non siano davvero così?
Non solo. Perché molte persone, magari è successo anche a te, sembrano impassibili davanti alla morte?
Mi occupo di servizi funebri da moltissimi anni ormai, la mia professione e la mia vita stessa è stata spesso accanto a chi soffriva per un lutto. Ho accolto nel mio ufficio molte persone che stavano affrontando uno dei momenti più dolorosi della loro vita, trovandosi a dover dire addio a un loro caro.
Fosse questo un marito, una moglie, un genitore, un figlio o un amico, non cambia la tristezza e il dolore provato da ognuno di loro.
Ho visto le più svariate reazioni, c’è stato chi ha pianto, chi ha fissato il vuoto, chi sembrava incapace di comprendere cosa stesse accadendo.
Ci sono però poi state alcune persone che, come se nulla fosse, si lanciavano nell’organizzazione del funerale.
Mi ricordo in particolare di una donna, Anna, una signora di 50 anni, con i capelli rosso fuoco e due enormi occhi azzurri che aveva appena perso l’amore della sua vita.
La frase che più mi è rimasta impressa è stata: “ci stavamo preparando a fare mille cose insieme, non eravamo mai stati così innamorati”.
È una frase molto dolce, ma non è ciò che più mi ha colpito, quello che più risuona in me è la freddezza e la semplicità con la quale ha pronunciato quelle parole tanto toccanti.
Anna non versava una lacrima, non singhiozzava, non sembrava minimamente sconvolta da quanto le era accaduto.
Continuava invece a parlarmi dell’organizzazione della cerimonia e degli aspetti burocratici dei quali si stava occupando.
Durante la cerimonia mi è capitato di guardare nella sua direzione e non l’ho mai vista versare una lacrima, anzi, consolava i suoi nipoti e sua suocera con fermezza e dolcezza.
In casi come questo non è raro sentire le più disparate opinioni emergere da ogni dove: “forse non gliene fregava molto”, “come si fa a essere così freddi? Io sarei distrutta”, “che cuore di ghiaccio”.
Non so in quale particolare momento della tua vita tu ti trovi, se magari sei solo capitato in questo articolo per caso, se invece hai appena subito un lutto e ti sei dovuto separare da qualcuno che amavi profondamente.
O ancora, magari ti stai preparando a questa separazione, stando accanto a un tuo caro che ha una malattia in stato terminale.
In qualsiasi caso magari ti è capitato di apparire da fuori freddo e di sentire persone che ti dicessero “ma come fai?”.
La verità è che il comportamento che ho descritto rientra nella prima fase dell’elaborazione del lutto ed è piuttosto comune.
La negazione ci permette di sopravvivere
Molto probabilmente la maggior parte delle persone, quando viene a sapere di essere costretta a separarsi dal suo grande amore o da un suo caro, non vorrebbe fare altro che piangere a letto.
Vorrebbe lasciarsi andare, sperimentare la tristezza nella sua forma più completa e non doversi occupare di nulla.
Il problema è che non possiamo. Almeno, la maggior parte di noi non può. È qui che interviene la negazione.
Abbiamo altri di cui occuparci, che hanno bisogno della nostra forza e della nostra fermezza.
Per questo neghiamo, perché un pensiero del genere in quel particolare momento potrebbe distruggerci. Magari invece bisogna andare in ospedale, parlare con i medici, stare al suo fianco, occuparsi di quello di cui ha bisogno, portargli i libri che vuole leggere e magari leggerli al posto suo.
Aiutare il tuo caro a sistemare le sue ultime incombenze, a dire addio a chi vorrebbe salutare, a mettere in ordine le carte e tutto ciò che pensava che avrebbe avuto tempo di fare.
Questo va avanti, come nel caso di Anna, anche quando la persona è venuta meno. Anna doveva sistemare l’eredità, stare accanto alla sua nipotina più piccola, preoccuparsi della salute di sua mamma e di sua suocera, entrambe molto provate dal momento.
Ricordo che appena una settimana dopo la celebrazione, è tornata da me per sistemare alcune carte e, ancora una volta, appariva lucida, tranquilla, glacialmente fredda da fuori.
Ha varcato la porta, si è seduta al tavolo e mi ha sorriso a fatica, pur non versando una lacrima, era evidente che stesse soffrendo, ma a quanto pare non è per tutti chiaro che ognuno ha il suo personalissimo modo di vivere un’esperienza del genere.
Lei stessa mi riportò le accuse che le erano state mosse da alcuni familiari, a seguito della sua richiesta di gestire dei documenti nel minor tempo possibile.
“Volevo solo sistemare tutto e poter piangere in pace”, ha detto, “ma sono stata accusata, usando parole gentili, di essere fredda come il ghiaccio e di non soffrire per la morte di mio marito. Ho passato con lui gli anni più belli della mia vita, non ricordo nemmeno come fosse addormentarmi in un letto vuoto e ora devo vivere tutte queste nuove esperienze all’improvviso, eppure a quanto pare non sto soffrendo abbastanza”.
La verità è che se quella donna dai capelli rossi si fosse fermata, in un momento in cui probabilmente non desiderava altro, sarebbe stata travolta, non avrebbe potuto occuparsi di nulla.
La negazione, la fase che lei stava vivendo, era tutto ciò che l’aveva tenuta in piedi nei due anni di malattia dell’amore della sua vita e che la stava ancora sorreggendo quando lui se n’era andato.
Quella freddezza, quella glacialità che molti, superficialmente, avrebbero potuto scambiare per menefreghismo era invece l’unico modo per affrontare il dolore.
La prima fase del lutto, quindi, la negazione, è una reazione istintiva per proteggerti e permetterti di affrontare tutto quello che succede.
Non sentirti sbagliato
Che tu sia la persona che si sta preparando ad affrontare la propria morte o che tu sia un familiare o amico la cosa più importante è che non devi sentirti sbagliato.
Nella nostra società infatti, purtroppo, è davvero difficile affrontare la morte, non solo perché è un atto doloroso in sé, ma anche e soprattutto per il tabù che rappresenta.
Non si può parlare di morte, non se ne può discutere e tutto quello che fanno le persone al massimo è guardarti con aria afflitta senza dirti mai apertamente “sono qua, mi dispiace che tu soffra”.
Quindi capita, e non è colpa di nessuno perché è un retaggio antico che ci portiamo dietro, che chi ha subito un lutto o si appresti a subirlo venga riempito da inutili (o peggio insensibili) frasi di circostanza.
Ancora una volta, e non è colpa di nessuno, siamo culturalmente portati a nascondere quello che proviamo e coprire la natura della nostra sofferenza.
Il punto però, fra i tanti, è che questo tipo di meccanismo porta le persone a non toccare l’argomento e, a volte, a non informarsi sul tema.
“Dopotutto se nessuno se ne lamenta forse sono io a essere sbagliato, forse la sto facendo più grossa di quello che è, e dovrei solo accettare la cosa e andare avanti!”
È possibile l’abbia pensato anche tu, lo capisco, è normale, è per questo motivo che cerco da diverso tempo di rompere il muro di silenzio intorno alla più delicata delle tematiche.
Perché il lutto possa essere affrontato in modo dolce e per quanto possibile sereno.
Infatti, nella maggior parte dei casi, accade che chi sta accanto a qualcuno che vive un lutto e, magari, lo sta vivendo anche lui, non sappia come comportarsi, quali frasi dire e possa far sentire a disagio l’altro.
D’altro canto la società in generale, con i suoi tabù sull’argomento, tende già a farci questionare il nostro comportamento, facendoci mettere in dubbio ciò che sentiamo e facendoci chiudere in un muro di silenzio.
Ed è proprio questo ciò che accade, magari anche a te in questo preciso momento.
Per questo motivo molte persone, che vivono la prima delle fasi del lutto, il periodo di negazione, quindi, sono gravate dal peso di sentirsi sbagliate.
Nell’immaginario comune, infatti, chi ha subito un lutto deve essere triste. Questo è quello che la filmografia, la letteratura e un po’ tutti ci hanno messo in mente.
Quindi, se adesso stai facendo la spola da casa tua all’ospedale in visita a un tuo caro che se ne sta andando, oltre al peso di tutte le incombenze che ti porti dietro, oltre al peso del dolore, di alleviare le sue giornate, di essere forte per entrambi e di vederlo spegnersi davanti ai tuoi occhi, probabilmente devi anche affrontare il giudizio di chi si chiede: “Ma come fa?”.
“Io starei piangendo disperata, come può essere così freddo?”
Questa sconnessione, chiamiamola così, fra quello che ci si aspetta da te e quello che senti non farà altro che farti sentire in colpa, infliggendoti una pena ancora maggiore.
La fase di negazione è solo il primo step di un processo, ben più lungo e complesso che ti si para davanti e che è completamente diverso da persona a persona.
Per aiutarti a capire cosa sta succedendo, perché provi emozioni che non vengono riconosciute dagli altri, perché il tuo comportamento non è come ce lo si aspetta e soprattutto qual è la strada migliore da percorrere ho scritto “Quel che resta è l’amore”.
È un libro in cui ho voluto mettere la mia esperienza personale di professionista che lavora al fianco di chi vive l’ultimo addio, unita agli studi che ho condotto in questi anni, in cui ho deciso di abbattere quel muro di silenzio costruito intorno alla morte e al lutto.
È un lavoro che sto facendo per cercare di rendere meno doloroso possibile un momento straziante nella vita di tutti noi.
Se ti stai preparando anche tu a separarti da qualcuno che ami o se l’hai già dovuto fare, penso tu possa trovare un po’ di conforto in questo testo.
Ne puoi leggere la presentazione qui: www.restalamore.com
A presto,
Andrea Cavallaro
Buonasera anche io non ho pianto alla morte dellaia mamma ma ora dopo un anno io non ci credo ancora che lei non ci sia non me ne faccio una ragione e a volte un film o un gesto inaspettato da qualsiasi persona mi fa pensare a lei e senza volere mi scendono le lacrime mi manca da morire troppo giovane e io ho bisogno di lei ti amo mamma
Senta il dolore divora l anima non esistono ste cose che uno fa il forte perché ha altre cose da fare si muore di dolore ti senti lacerare l anima si piange continuamente e nessun medico nessuno al mondo può curare la malattia dell anima di una persona che hai amato più della tua vita ma non dite cose che non stanno né in cielo né in terra il dolore della morte è un dolore assurdo un dolore che non ha ragioni che non segue fili logici altrimenti non ne ne amore ne niente non esistono ste cose. Non esistono tempi stabiliti precisi non esiste nulla ci sono cose che ti restano a vita io a costo di morire di dolore non mi farò mai seguire consigliare da nessuno Nessuno può entrare nell anima di una persona che soffre la psiche non ne qualcosa che si controlla l amore il dolore sono atroci e poi dipende anche da come è morta la persona cos a ti resta dentro ma state zitti tutti